giovedì 24 marzo 2011

I riti pasquali della vecchia Palermo

Aprili, lu duci durmiri/nè livari, nè mettiri: un vecchio proverbio siciliano che, nel constatare come in questo mese sia dolce il dormire, consiglia agli incauti di non togliere nè aggiungere indumenti. Aprile non è pazzerellone come il mese che lo precede, ma può riservare qualche sorpresa.
La campagna è già tutta in fiore, e se un albero tarda, sarà meglio estirparlo: Arvulu chi d'aprili nun fa ciuri, mancu nni fa intra l'autri staciuni
Vive ancora la tradizione della domenica delle Palme, festeggiata con ramoscelli d'olivo e palme. Un tempo - come riferisce il Pitrè - non vi era fanciullo che ne andasse privo, sia che li ricevesse in dono, sia che li comprasse dai fiorai.
Si ripete annualmente la Fiera di Pasqua, che sorgeva una volta nella scomparsa piazza Castello e che, ormai da tempo, pianta le sue tende al Foro Italico.
Il Giovedì Santo, a dire del Cacioppo (1835) il Capo del Governo locale lavava i piedi a dodici poveri, vestiti alla guisa degli apostoli, e al dopo pranzo visitava in pompa alcune Chiese ove si ergevano i Santi Sepolcri. Dal mezzogiorno del giovedì sino a tutto il venerdì invece di campane si suonavano le tabelle, e non si andava nè in carrozza nè a cavallo per la Città, in segno di rispetto alle auguste cerimonie che celebrava la nostra Chiesa.
Sopravvivono ancora alcune processioni in occasione del Venerdì Santo.
Condita l'intera settimana santa delle ghiottonerie pasquali: la cassata, il pupo cull'ovu - una specie di pupattolo fatto di farina e tutto imbottito di uova sode - e la pecorella di pasta reale.
Ed infine la Domenica di Resurrezione. Ecco come ce la deschive Goethe, nel suo Viaggi in Italia (1786 - 1787) "L'esplosione di gioia per la Resurrezione del Signore si è fatta sentire fin dall'alba: i peterdi, le racchette, le bombe, i serpentelli, sparati davanti la porta delle Chiese, si contavano a carra, mentre i devoti affluivano per i battenti spalancati. Fra il suono delle campane e degli organi, le salmodie delle processioni e i cori dei preti che le precedevano, ce n'era abbastanza per frastornare gli orecchi di quanti non sono assuefatti ad un modo così fragoroso di adorare Dio"
Tratto da - Alla scoperta della tua città - di Rosario La Duca
Edizione Ristampe Siciliane

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mercoledì 23 marzo 2011

Feste e tradizioni siciliane del buon tempo antico: la festa di S. Martino

Novembre in Sicilia non è soltanto il mese dei morti. Ce lo ricordano i proverbi legati alle pratiche agrarie "La prima a tutti li Santi e l'ultima a Sant'Andria", consiglia al contadino il tempo della semina, che dovrebbe cominciare il 1 Novembre e aver termine il giorno di S. Andrea (10 novembre).
Novembre ci riserva anche un'altra festa, che è poi quella dei beoni: S. Martino. A San Martinu ogni mostu è vinu, dice un antico proverbio; e quindi appare logico che questo santo sia stato elevato a protettore di coloro che, più o meno frequentemente, amano alzare il gomito. Un motto popolare dice: Cui si leva di vinu dici: viva Sammartinu. E nonostante che il leggendario dei santi ci dica che egli fu così astinente che, fondato un convento, visse colà con ottanta discepoli senza mai conoscere il vino, tutti i bevitori siciliani vi diranno che San Martino era "uno di loro"
Ma a Palermo tutte le occasioni, oltre che per bere, erano e sono buone anche per mangiare. Il giorno di San Martino, o per comodità la domenica successiva, non c'era un tempo tavola imbandita in cui non fosse presente il tradizionale tacchino. In mancanza, poteva costituire un buon surrogato la carne di maiale, come ci conferma il detto: Ad ogni porcu veni lu so' Martinu". Osservava Enrico Onufrio: "Anche a S. Martino, il dio delle battaglie, il popolo palermitano è devoto al suo solito, s'intende, vale a dire banchettando a maggior gloria del Santo. E' in tal giorno che si imbandiscono a tavola i più grassi tacchini, e codesta è un'abitudine così inveterata che tu non sai bene se la festa è del Santo Martino o del dio tacchino".
Questa festa ha anche il suo dolce caratteristico: "I viscotta di S. Martinu", che hanno la forma di un piccolo pane, la cui parte appariscente - come commenta il Pitrè - è alla rococò. Onufrio aggiunge che "per conservare le sacre tradizioni degli avi, cotesto biscotto bisogna inzupparlo nel moscatello. E crepi l'avarizia!"
Celebre in Sicilia, ma anche nel resto d'Italia, l'estate di San Martino, risultante un breve periodo in cui solitamente fa nel tempo e la temperatura si mantiene mite.
Molte delle usanze di cui abbiamo fatto cenno non sono ancora scomparse. Le vetrine delle dolcerie mettono tuttora in bella mostra biscotti di ogni foggia, riccamente decorati con zucchero filato e carte luccicanti. Forse le tavole saranno meno ricche di tacchini e maiali, con grande consolazione per loro.
Tratto da "Alla scoperta della tua città" di Rosario La Duca - Edizioni e Ristampe siciliane

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martedì 22 marzo 2011

Feste e tradizioni siciliane - Il 2 Novembre: Frutti di Martorana e Pupi ri zuccaru

Il 2 Novembre, giorno consacrato alla celebrazione dei defunti, per i fanciulli siciliani è la "festa dei morti". Una antica tradizione vuole che i genitori regalino loro dolci e giocattoli, dicendo che sono stati portati in dono dalle anime dei parenti morti. L'origine ed il significato di qeusta usanza si collega certamente ad antichi culti pagani ed al banchetto funebre un tempo comune a tutti i popoli indo-europei, di cui si ha ancora un ricordo nel consulu siciliano. E' stato esservato che il significato della strenna dei morti è duplice: offerta alimentare alle anime dei defunti e offerta simbolica nei dolci a forma umana, con raffigurazione delle anime dei defunti "in maniera che cibandosi di essi, è come se ci si cibasse dei trapassati stessi".
Di questi dolci, antropomorfi, sono celebri a Palermo le "pupe di zucchero", decorate con colori sgargianti e vivaci. I personaggi raffigurati sono vari: dragoni, paladini, bersaglieri, coppie di sposi, dame del settecento. Le pupe di zucchero o di pasta di miele, sono comuni in tutta la Sicilia. A Palermo, però, in occasione della festa dei morti, appare nelle vetrine dei negozi un altro dolce caratteristico, originariamente non collegato alla celebrazione dei defunti.
Si tratta dei caratteristici "frutti" di pasta di mandorle, o pasta reale, che comunemente vanno sotto il nome di "frutti di MArtorana" che, nati a Palermo, sono ormai diffusi anche nel resto della Sicilia, varcando lo stretto, sia pure come prodotto di importazione.
Nel Settecento, una delle curiosità della vita monastica era che ciascun monastero, quasi fosse un distintivo, aveva una Piatta, coè un manicaretto. A Palermo erano celebri le Feddi (fette) del Cancelliere, la conserva di scurzunera delle Montevergini, la Cucuzzata ed il Biancomangiare di Santa Caterina, il pane di Spagna della Pietà, le sfinci ammilate delle Stimmate, la caponata dei Sett'Angeli, le ravazzate con ricotta di Santa Elisabetta, e tanti altri dolciumi quali cannoli, cassate, ecc. che invano i pasticcieri della città tentavano di imitare. Il Monastero della Martorana era arcinoto per i suoi frutti di pasta di mandorle, che prendevano proprio il nome dall'edificio religioso. Le pie monache confezionavano frutta di pasta reale di ogni tipo, cercando di imitare alla perfezione quella naturale.
Una tradizione buole che in una circostanza imprecisata, le monache della Martorana abbiano manifatturato frutta di qualità diversa che si produce in varie stagioni e che l'abbiano appesa sugli alberi di un piccolo chiostro del loro monastero. I "frutti della Martorana" entrarono ben presto a far parte dei dolci dei morti, e dopo la soppressione delle Corporazioni religiose, avvenuta nel 1866, l'attività e la produzione dolciaria del monastero divenne patrimonio dei pasticcieri della città che, puntualmente, ogni anno, in occasione della celebrazione dei defunti, ne continuano ad adornare le loro vetrine.
Pupe di zucchero e frutti di Martorana scompariranno soltanto se un giorno verrà a cessare l'uso di fare le strenne ai fanciulli il 2 Novembre, e le anime sante, quelle dei parenti defunti, non torneranno più sulla terra a portare doni ai bambini
Soltanto quel giorno, i fanciulli siciliani si accorgeranno che i loro morti, in verità, sono "morti per sempre"
Tratto da Alla Scoperta della tua città di Rosario La Duca
Edizioni e Ristampe siciliane

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