martedì 10 maggio 2011

Il gelato palermitano

Viene dato ai palermitani il merito dell’invenzione del gelato. Basta sapere che fu un gelataio di Palermo a vendere per primo, nel suo Caffè di Parigi, il gelo di caffè – nato dall’unione del sorbetto con il caffè palermitano - e che diede poi l’imput alla diffusione del gelato in Francia.


Il gelato è considerato eredità della dominazione araba. Questi, infatti, usavano bere nelle calde giornate estive una bevanda gelata con la neve (trovata alle pèndici di alte vette palermitane) e preparata con zucchero di canna, latte o acqua, essenza di frutta, vaniglia e cannella: lo “Sciarbat”, sorbire, da cui deriva l’attuale Sorbetto.

La neve veniva conservata nelle Niviere, buche create nel terreno, in luoghi di alta montagna, dove veniva posta la neve e ricoperta poi di paglia. Veniva trasportata in città in delle ceste, rivestite di paglia e sale marino, e qui veniva conservata nelle cantine. Uno dei sorbetti più famosi, che i pasticcieri palermitani hanno gelosamente conservato, era quello preparato con la spremuta di gelsomino e l’aggiunta di dolcificante (di solito lo zucchero di canna).

La neve veniva regolarmente acquistata, in special modo dai nobili, che usavano consumare il sorbetto durante i loro pasti. A maggiore richiesta erano i sorbetti cui venivano aggiunti succo di arancia o di limone.

Il gelato che noi conosciamo nacque quando fu inventata a Firenze il metodo per gelare a temperature che andavano sotto lo zero (siamo più o meno nel 1500).

Il gelato a Palermo veniva consumato dai nobili anche durante le “passeggiate” alla Marina: specialità di allora (ma anche di oggi) erano il gelato alla cassata, all’anguria, al gelsomino, alla scorzonera e cannella, al limone. Il tutto servito in eleganti coppe.

Fu nei primi anni del Novecento che venne inventato il cono di cialda: l’invenzione nacque da un piccolo incidente di un gelataio palermitano che, trovandosi in una esposizione ed avendo esaurito le coppe per servire il gelato, utilizzò dei fogli piegandoli a mo’ di cono. Pensò poi di realizzarli con il biscotto di cialda.

Nacquero quindi i primi gelatai ambulanti, (U gelataru) che con il loro carrettino di legno, decorato con figure di paladini e dentro il quale vi erano pozzetti di gelato di diversi gusti, giravano per i vecchi quartieri della città, preannunziando il loro arrivo con una caratteristica trombetta: e così anche la gente del popolo poteva gustare il prelibato dolce.

A parte che nei coni di cialda, i gelatai vendevano i gelati nei Canestrini (l’attuale coppetta) o nella “Scialotta”, un biscotto imbottito e formato da due strati con il gelato al centro (simile all’attuale Cucciolone). La brioche era una forma di lusso che non tutti potevano concedersi.

Il carretto decorato del “gelataru” oggi non esiste più: al suo posto abbiamo i lambrettini in acciaio, i tantissimi bar, o i chioschi nelle zone turistiche della città. Ma continua ad esistere il gelato artigianale siciliano, corposo e morbido, prodotto con frutta di stagione e senza l’uso di conservanti. E come allora viene servito in eleganti coppe, nei coni, o nelle brioche.

Sorsi & Sapori vi dà la possibilità di gustare il gelato palermitano in tutta la sua gamma: mettendo a vostra disposizione tutta la serie di paste tradizionali e alla frutta per la preparazione. Sarà possibile preparare a casa vostra il gelato alla cassata, o al cannolo siciliano, o a pistacchio, e nei tanti gusti tradizionali. Per la preparazione di 1 Kg di gelato basta aggiungere a 100 gr di pasta la dose di 370gr di pasta neutra, 1 lt di latte,  250 gr di zucchero e gelare tutto nella vostra gelatiera. Se invece volete gustare la granita, potrete prepararla sempre con le stesse paste nella dose di gr 200, zucchero gr 100, acqua gr 700, neutro 1/2 cucchiaino.
Chiaramente possiamo spedirvi le brioches o i coni di cialda. Vi aspettiamo su SORSI & SAPORI - IL GELATO SICILIANO
Anna Squatrito

Storia e leggende dei dolci palermitani

Quasi tutti i dolci palermitani nascono dalle mani laboriose delle monache di clausura rinchiuse negli allora numerosi Conventi di Palermo.
Preparati nei monasteri, i dolci venivano ordinati – secondo la specialità del Convento – e venduti al pubblico attraverso l’apposita ruota incastrata nel muro. Era un modo, per le suore, di coprire le necessità  economiche del Monastero, e di contro si divertivano a  stuzzicare il palato dei palermitani golosi con dolci che inventavano di volta in volta, ricchi e fantasiosi,  tramandati dalle varie dominazioni (in special modo quella araba) che davano certezza di genuinità e non avevano un costo molto alto.
Ogni Monastero aveva la sua specialità, che con il tempo è stata tramandata ai bravissimi pasticcieri palermitani: e da qui nasce  la grande varietà dei classici dolci palermitani.
Non c’era e non c'è oggi, infatti,  festa religiosa o patronale che non venga coronata da un dolce  tradizionale.

Nel convento di Santa Maria di Monte Oliveto, detto della badia Nuova, nascono i CANNOLI SICILIANI  da uno scherzo carnevalesco che faceva uscire dal rubinetto (anticamente detto cannolo) crema di ricotta anziché acqua. Ingredienti principali di questo dolce sono la scorza fritta e la crema di ricotta. Sempre nel periodo carnevalesco, le suore di questo convento confezionavano le TESTE DI TURCO e le CASSATELLE , piccoli dolci ripieni di crema di ricotta e ricoperti di pasta reale e glassa di zucchero. Queste diventarono poi dolci rituali del periodo pasquale.
Nel periodo di Pasqua le suore preparavano per i bambini i PUPI CON L'UOVO, dolci di pasta frolla a forma di pupo, in cui veniva inserito l’uovo sodo che rappresentava la pancia, e poi ricoperto di piccoli confettini colorati.



Nel Monastero di Santa Elisabetta, oggi trasformato in Questura, le suore erano note in città per la rosticceria. Famose le RAVAZZATE, dolci fritti con ripieno di crema di ricotta. Per Natale, le suore preparavano i Nucatoli, dolce tipico palermitano a base di noci, e per S. Martino i famosi BISCOTTI DI S. MARTINO  (tradizione vuole che vengano gustati inzuppati nel vino moscato)


Nel Monastero dei Settangeli, alle spalle della Cattedrale (oggi non più esistente in quanto distrutto dai borboni) le suore preparavano le Mustazzola, un dolce a base di farina, zucchero, mandorle tritate e miele. Venivano a volte farciti con conserva di pistacchio, ed il questo caso prendevano il nome di “pantofoli” . Con un impasto simile furono creati poi i biscotti BISCOTTI OSSA DI MORTO , tipici per la festa dei Morti.

Nasce nel Monastero di Valverde la CASSATA SICILIANA  , tipico dolce di Pasqua, secondo un documento del 1575 del sinodo di Mazara. Dolce ormai famosissimo nella pasticceria siciliana, e composto da pan di spagna farcito di crema di ricotta e ricoperto di glassa di zucchero. Decorato poi con pasta reale verde e zuccata.

Dolce molto strano erano i “feddi di cancellieri”, dove per “fedde” in dialetto palermitano si intendono le natiche, ed in questo caso, del “Cancelliere”. Questi era il benefattore Matteo Ajello, Cancelliere di Guglielmo II, che fondò nel XII secolo un monastero benedettino, distrutto poi dalla seconda guerra mondiale. Le suore di tale istituto preparavano questo dolce di pasta di mandorle dalla forma bombata e farcito di marmellata di albicocche.


Le suore del convento della Martorana realizzarono con la pasta di mandorle i famosi FRUTTI DI MARTORANA , che venivano regalati  ai bambini nella commemorazione dei Defunti.

Specialità delle suore nel Monastero di Montevergine era la CUCUZZATA cucuzzata (zuccata) utilizzata poi per guarnire molti dolci, come la cassata. Tagliata a strisce sottili e lunghe, la cucuzzata veniva strasformata in capìddi d’ancilu (capelli d’angelo).

Dalla dominazione spagnola e nel Monastero benedettino dell’Origlione nascono le  IMPANATIGLIE  , dolcetti di pasta frolla ripieni di carne, molto diffusi oggi nel ragusano.

Nel monastero di Santa Caterina veniva preparato il “Biancomangiare”, una crema bianca e molto delicata a base di latte di mandorla e cannella, che di solito veniva dato ai bambini o agli ammalati. In questo convento venivano preparati anche dei dolci dedicati alla Santa, una sorta di “panini” composti da farina di mandorle, zucchero e albume di uovo. Farciti poi con conserva, mandorle e aroma di cannella.

Le monache del monastero della Pietà, l’attuale Galleria Regionale, preparavano il PAN DI SPAGNA .  Con lo stesso impasto venivano preparati anche i  SAVOIARDI, in onore dell'allora  Re d’Italia.

Nel monastero delle Stimmate, ove oggi si trova il Teatro Massimo, venivano preparate le “sfinci”, sia semplici che ripiene di panna. Oggi questi dolci vengono preparati per la festa di S. Giuseppe, imbottiti di crema di ricotta.
Il “riso nero”, riso bollito, insaporito con miele e cannella e cosparso di cioccolato, veniva preparato dalle suore del SS. Salvatore.


Nel Monastero della “Concezione” al Capo, venivano realizzati, in occasione del Festino di S. Rosalia i MOSCARDINI , biscotti croccanti aromatizzati alla cannella.

Nel giorno di S. Lucia, le suore del Conservatorio di S. Lucia preparavano la Cuccìa: un dolce preparato con frumento lessato, che veniva poi condito con crema di ricotta e canditi. A tale dolce è legata la tradizione di S. Lucia a Palermo che fa arrivare, il giorno della Santa e dopo un lungo periodo di carestia a Palermo, una nave carica di grano.
In tempo di Quaresima anche i dolci erano vietati, a parte la carne, anche latte, formaggi, uova, e grassi animali. Le suore inventarono dei biscotti privi di tutto questo, che furono chiamati QUARESIMALI . Biscotti croccanti a base di farina, zucchero e mandorle.
Tante altre specialità venivano preparate dai numerosi monasteri palermitani: SOSPIRI DI MONACA I TARALLI ,  le Iris.


Oggi i conventi a Palermo non esistono più: ma le buone suore hanno lasciato ai pasticcieri palermitani l’immensa eredità delle loro ricette..
Potete acquistare on line  tutte le specialità dolciarie palermitane presso SORSI & SAPORI - mail: cabosse@alice.it - Cell. 3319087074.
Spese di spedizione secondo tariffe postali .
Anna Squatrito
Copyright 2010 - E' vietato l'uso totale o parziale del testo.

giovedì 5 maggio 2011

Dolci e tradizioni del mese di Giugno: la chiave di S. Pietro

Anticamente, presso un rione del mandamento di Castellammare, abitavano pescatori e pescivendoli soprannominati SanPietrani perché devoti di San Pietro, e questo bastò a dare il nome al rione: San Pietro, appunto.
Contrariamente a quanto normalmente avviene, il Santo in quel rione non aveva, né ebbe mai, una chiesa a lui dedicata, che suscitasse nel popolo, almeno, il fervore della fede.
Il 29 giugno, bucolicamente, si festeggiava il principe degli apostoli, Pietro; la sera della vigilia e per tutta la notte il divertimento era la prerogativa popolare, a base di luminarie, vino, "tiani ri babbaluci" (pietanza a base di lumache) a picchi pacchi, sbornie e "sciarri" (zuffe).
La festa ha, da sempre, avuto un carattere di esclusivo divertimento e di "manciunaria" (festini culinari).
Tradizionalmente in questa occasione, i "tavulieddi" organizzavano ogni ben di Dio e ai ragazzi venivano regalati dei caratteristici biscotti a forma di chiave.
Nonostante il carattere bucolico dei festeggiamenti, questo simbolo riconosceva in San Pietro l’autorità custode delle chiavi del Paradiso.
Questi biscotti, che comunemente i palermitani chiamano "chiavi ri San Pietru" , sono confezionati con pasta mielata.
Una volta preparata la pasta e distesa su un ripiano di marmo, vengono ritagliate le chiavi, con un apposito stampo; dopo l'infornata vengono spennellate con del miele e poi spolverate con piccole scaglie di zucchero colorato richiamante i colori del tricolore italiano.
Era consuetudine che tutti i fidanzati, nel giorno di San Pietro, non venissero meno ad un dovere di galateo amoroso, presentandosi all'amata con una bella "chiave" per aprire il suo cuore.
Chiavi ovviamente più ricche delle precedenti, preparate con maggior maestria dal pasticcere che le elaborava ulteriormente, utilizzando il più morbido pan di Spagna e rivestendole di panna e frutta sciroppata.
Chiavi di color rosso, infine, venivano dipinte sugli usci delle case dei sanpietrani.
Abbandonato il rione, distrutto dai bombardamenti del conflitto mondiale, la festa non venne più celebrata.
Rimase invece la consuetudine di preparare i biscotti che ancora oggi, confezionati in buste di cellophane chiuse da un nastrino rosso, sono venduti nelle migliori pasticcerie.
Puoi trovare le Chiavi di S. Pietro presso Sorsi & Sapori - Cell. 3319087074 - mail: sorsiesapori@libero.it

mercoledì 4 maggio 2011

Storia e tradizioni della pasticceria siciliana

Tre sono le fonti a cui si rifà la cucina siciliana in fatto di dolci: la prima è l'ambiente contadino, dove spettava alle donne nell'approssimarsi di ogni festa religiosa e familiare, preparare i dolci previsti per tali ricorrenze. La seconda fonte è legata ai monasteri, dove le monache di clausura preparavano, inventandoli di volta in volta, dolci ricchi e fantasiosi, che si tramandano fino ad oggi, esclusivamente entro le mura dei conventi. La terza fonte è, infine, quella di più recente acquisizione e riguarda la raffinata pasticceria importata in Sicilia dai valenti pasticcieri svizzeri, che dall'inizio del secolo si trasferirono nell'isola. Infatti, i dolci siciliani più conosciuti sono proprio quelli appartenenti alla pasticceria svizzero-siciliana, che si trova in tutte le principali città d'Italia. Fra le molte dominazioni che si sono succedute nell'isola, è sicuramente quella araba che ha impresso di più la propria impronta, perhcè ha introdotto alcuni elementi, quali il pistacchio, la cannella, lo zucchero, la pasta di mandorle, la granita, di cui si fa largo uso nella preparazione di molti dolci siciliani

Ma è attraverso la creatività che la pasticceria siciliana tradizionale si rivela ricca e variata, anche quando impiega ingredienti semplici e poveri: la ciaurrina, un antico dolce tradizionale, ha come unico ingrediente il miele.

Ogni provincia della Sicilia conserva la propria tradizione in fatto di dolci, così come per ogni festa popolare, religiosa e familiare. La Pasqua e la Commemorazione dei Defunti sono le festività più celebrate dell'isola. La settimana santa, tanto sentita in tutta la Sicilia, diventa anchel'occasione per preparare una varietà di dolci e pani rituali, legati al significato religioso della Pasqua, elaborati con gli stessi usi che fanno parte della tradizione agropastorale, presente non solo nella storia della Sicilia ma in quella dei popoli mediterranei. I pani rituali, preparati a base di farina, uova, zucchero, pasta reale e ricotta, sono vere e proprie specialità a cui vengono date forme diverse in base ai riferimenti simbolici religiosi. Un dolce di origine araba, a base di ricotta e pasta reale decorata con frutta candita, la cassata, è un vero e proprio capolavoro di bontà e bellezza, gustoso come nessun altro, diventato nel tempo un dolce pasquale, anche se oggi la si trova tutto l'anno. Altri dolci tipici del periodo della Pasqua sono le pecorelle di pasta reale e le cassateddi, diffuse nel ragusano.

Per la commemorazione dei defunti, che a Palermo assume un significato di festa che coinvolge soprattutto i bambini, i quali ricevono per quel giorno giocattoli e dolciumi, vengono preparati i famosi "pupi di zucchero", che raffigurano gli antichi paladini e cavalieri, e la frutta di pasta reale, denominata Martorana, dall'omonimo convento palermitano dove le monache di clausura le preparavano. Oggi è usuale vedere in bella mostra, nelle vetrine delle pasticcerie, vassoi con la frutta martorana, modellata da abili pasticcieri.

Alcuni dolci vengono preparati soltanto in determinati periodi dell'anno o per determinate festività patronali. Il 13 dicembre a Palermo è tradizione diffusa, soprattutto tra i palermitani devoti a S. Lucia, non mangiare durante la giornata pane e pasta ma la cuccìa, un dolce a base di grano bollito e ricotta. Per la festività di S. Pietro (29 giugno) vengono preparati dei biscotti giganti a forma di chiave, e per S. Martino (11 novembre) dei biscotti a forma di pagnottella, ripieni anche di crema di ricotta. Per S. Giuseppe (19 marzo), festeggiato in tutta l'Isola, i dolci tipici sono le sfinci, che a seconda della città o paese in cui viene festeggiato, vengono preparate in modo differente. A Natale, i dolci più diffusi sono il buccellato, una grossa ciambella ripiena di frutta secca e candita, i nucatoli, i mustazzoli, la petramennula (o torrone).

Un discorso a parte meritano i gelati e i sorbetti, nei gusti più svariati, così gli spongati, gli schiumoni, le cassate e le torte gelate, veri e propri trionfi di gusto e sapore, che fanno parte di una delle più rinomate tradizioni dolciarie. Durante la stagione estiva, è abitudine diffusa fin dal mattino a colazione e durante la giornata, consumare la granita, con o senza panna, accompagnata dalla brioche. La granita, dolce di origine araba che deriva dal sorbetto, viene preparata nei gusti alla frutta, caffè, cioccolato, latte di mandorla e gelsomini. Nei secoli scorsi, la granita veniva servita nei grandi banchetti dei nobili, tra una pietanza e l'altra, per facilitare l'ingestione di piatti più elaborati, e tale abitudine è rimasta anche oggi nei pranzi più importanti

Maria Adele Di Leo