giovedì 21 aprile 2011

Fiere, feste e dolci nel mese di maggio

Cu ha denari lu misi di maju, nn'havi tuttu l'annu. (Chi ha soldi il mese di maggio, ce li ha tutto l'anno) . E' questo un proverbio che probabilmente oggi molti non riescono più a comprendere a meno che non lo inquadrino nell'antica economia agricola dell'Isola: il contadino che non ha dovuto dar fondo ai suoi risparmi sino a maggio, non avrà nulla da temere per il resto dell'anno, in quanto la terra è già pronta a dare i suoi frutti.
Un'ancestrale saggezza consigliava anche di fare in questo mese provvista di legna e formaggio, essendo la prima più a buon mercato a causa della rimonda che la rendeva più abbondante, ed il secondo prodotto con il latte di migliore qualità: Misi di maggiu, mèttiti in casa ligna e formaggiu. Un suggerimento da tenere ancora presente da parte di coloro che temono la crisi energetica e di quanti vanno alla ricerca dei cibi genuini.
A Palermo, maggio era il mese della fiera di S. Cristina. Come riferisce il Cacioppo (1832) "il luogo destinato era la piazza del Duomo. Ivi si costruivano casette di legno, e servivano da botteghe a mercanti, onde spacciarvi le merci. Queste officine venivano con simmetria disposte, ed in fondo erano dominate da una gran baracca elegantemente addobbata ed adorna da una gran quantità di premi, dove per via di polizze benefiziate o bianche si praticava una specie di lotto. La fiera durava 15 giorni, cioè dalla prima domenica di maggio sino alla terza, e nella sera porgeva occasione di grato passeggio al pubblico per la illuminazione e la musica che vi si godeva"
Tra le feste religiose, la più importante era quella dell'Ascensione.
La notte precedente - che la gente del popolo suole chiamare la notti di la Scèusa - prepara una delle tante feste cristiane che hanno assorbito credenze e riti pagani che si perdono nel tempo.
E' una notte magica, nel corso della quale vengono guarite le malattie e ribelli ad ogni cura. Il momento più opportuno è la mezzanotte in punto: a quell'ora i malati di gozzo - se vogliono guarire rapidamente - addentino la corteccia del pesco in modo da trasferire all'albero il "cattivo sangue"; coloro che soffrono di malattie alla pelle corrano al mare e vi si immergano in un bagno purificatore.
Secondo la tradizione, l'acqua del mare, a mezzanotte, da salata si trasformerebbe in dolce. Un tempo, le donne del popolo, prima di andare a letto, mettevano al balcone un recipiente pieno d'acqua con su sparse foglie di rose insieme ad un orciolo, anch'esso ricolmo. L'indomani mattina tutta quell'acqua era benedetta e serviva sia per bere che per lavarsi la faccia: in tal modo - veniva assicurato - si restava benedetti per tutto l'anno.
Ma il bagno purificatore lungo la riva del mare non era soltanto miracoloso per gli uomini, ma soprattutto per gli armenti, con il preciso intento di preservare gli animali da possibili malattie o per guarirli da quelle di cui erano affetti. E sino alla fine del secolo scorso si poteva assistere a Palermo ad uno spettacolo veramente insolito: i pastori conducevano i loro armenti al mare, per farveli bagnare, per invocare sopra gli animali la benedizione del Cielo, affinchè volgesse il suo sguardo benigno alle candite ricotte ed ai biondi formaggi.
Le mandrie scendevano da Porta Nuova lungo l'antico Cassaro, ed il continuo tintinnìo delle campane sospese ai caratteristici collari, spandendosi come un'armonia in festa, creava nel cuore della vecchia città un'atmosfera da egloga virginiana. Andavano verso il mare gli armenti di Monreale, del Parco, del Monte Pellegrino, sbucando da ogni strada: la città echeggiava di belati degli animali  e del suono del numero infinito di campane che essi scuotevano. Suoni di flauto, di strumenti a corda, voci di pecorai, di pastori, di mulattieri si fondevano in un brusìo sempre crescente che si sarebbe potuto scambiare per l'urlo del mare.
E lungo la spiaggia della Marina i pastori conducevano le loro mandrie. E qui, un prete in cotta e stola, con gesto maestoso e biblico, benediceva gli animali che i pastori poi spingevano verso il mare dove le acque erano basse. PIù lontano, in un tratto di riva buia e deserta, si vedevano muovere ombre bianche: erano gli storpi, i guerci, poveri ammalati che, dopo essersi spogliati in fretta, si tuffavano in acqua. Ma i riti della notti di la Scèusa sono ormai da tempo scomparsi.
Una curiosa tradizione si collegava al culto di Santa Restituta, di cui si conservavano alcune reliquie nel monastero di S. Chiara. Questa santa, bruna in viso, venne martirizzata a soli 13 anni. Fino al 1911, le educande del Monastero celebravano in suo onore il 17 maggio una festa alquanto comica che incominciava con una processione a pedi torti (piedi storti) e finiva in una solenne refezione a tavola imbandita soprattutto da dolcetti di pasta di mandorle, tipica produzione delle suore.
Il Pitrè dice che la processione era composta dalle fanciulle le quali, da un lato posto del monastero, si recavano in pellegrinaggio fino al coro storcendo, per penitenza, i piedi indietro. La scena era strana parecchio e si prestava ad una prolungata ilarità malcelata delle suore professe.
Nei primi decenni dopo il compimento dell'Unità d'Italia, a Palermo, maggio era considerato il mese garibaldino. I superstiti dei Picciotti si recavano con la camicia rossa in pellegrinaggio al Ponte dell'Ammiraglio e sull'altura di Gibilrossa. Inni e discorsi celebrativi riempivano la giornata del 27 del mese. In onore del biondo eroe dei due mondi i pasticcieri palermitani inventarono il Gelato di Campagnache,  dal punto di vista organolettico, assomiglia molto al gelato ma non lo è poiché il suo ingrediente principale è lo zucchero, Ha però la caratteristica di sciogliersi facilmente in bocca. Come il gelato, appunto. Da qui, il nome.
Sorta di torrone tenero d’origine araba, oltre allo zucchero che ne è l’ingrediente principale in assoluto e che veniva importato, ricavato dalla cannamele, altri ingredienti “essenziali” sono: il pistacchio, largamente impiegato, oltre che per il gusto, per il suo verde scintillante che risalta autorevolmente fra gli altri due colori principali, il bianco e il rosso, ricavati da coloranti vegetali.
I tre colori riproducono infatti  il tricolore italiano. Le mandorle, la cannella e la frutta candita, frutti peculiari della terra di Sicilia, vennero aggiunti a gratificazione della cultura magrebina.

1 commento:

  1. https://www.facebook.com/photo.php?fbid=1589853777960107&set=a.1414812822130871.1073741828.100008065001940&type=1&theater

    RispondiElimina